I Manoscritti

I manoscritti 
Nel 1983 la musicologa statunitense Janet Johnson annunciò al mondo una lieta novella: nella Biblioteca del Conservatorio di musica “Santa Cecilia” era ‘venuto alla luce’ il manoscritto autografo delle musiche del Viaggio a Reims che Rossini non aveva utilizzato per Le comte Ory. La notizia fece scalpore soprattutto dopo che il capolavoro rossiniano, sin allora creduto perduto, fu riproposto da Claudio Abbado in un allestimento plurimiliardario, andato in scena prima a Pesaro e poi a Milano.Vi fu allora chi sperò che da qualche negletto scaffale della nostra Biblioteca spuntassero altre meraviglie: magari fra le partiture operistiche del già citato fondo Cencetti, che ben documentano l’attività dei teatri romani nei secoli XVIII e XIX; oppure fra i manoscritti di musica sacra del fondo Ravalli, che raccoglie composizioni appartenute alle chiese romane di Santo Spirito in Saxia e di Santa Maria alla Vallicella. In realtà il prezioso autografo rossiniano era semplicemente uno dei tanti nostri manoscritti “in corso di catalogazione” (non occorre qui sottolineare per l’ennesima volta i gravi problemi di organico del biblioteche dei Conservatori). Inoltre era già stato segnalato nel 1964 in uno studio di Dina Masiello Zanetti dove, elencando i donatori più generosi verso la nostra Biblioteca, si ricordava «la Real Casa, per alcuni brani autografi della cantata Il viaggio a Reims di Rossini».
 
Autografi illustri
Del resto nei vari fondi della biblioteca non vi è certo penuria di autografi illustri. Oltre alle citate partiture autografe di Bellini, esemplarmente restaurate dall’Istituto di patologia del libro, è d’obbligo citare alcune particelle di coro vergate addirittura dal Palestrina: Beata est Virgo Maria e Omnis pulchritudo Domini, tre preludi per organo di Felix Mendelssohn-Bartholdy, donati dallo stesso compositore all’abate romano Fortunato Santini; l’inno O Roma nobilis di Liszt in una sua propria trascrizione pianistica; Le sette parole dell’agonia di Gesù Cristo di Giovanni Pacini; il Macbeth di Ernest Bloch donato dall’autore in occasione di una sua rappresentazione al Teatro dell’Opera di Roma. E ancora: pagine di pugno di Donizetti, Mercadante, Fioravanti e di tanti “minori” del Sette e dell’Ottocento. Naturalmente non mancano autografi di Sgambati, Pinelli, Cesare De Sanctis, Alfredo Casella, Ildebrando Pizzetti, e altri maestri che hanno via via insegnato nella scuola patrocinata nel 1869 dall’Accademia di Santa Cecilia, nel successivo Liceo musicale, e, infine, nell’attuale Conservatorio di stato. Vanno poi ricordati i manoscritti di Vincenzo Tommasini, pervenuti alla nostra Biblioteca nel 1951, grazie a un lascito testamentario del compositore, nonché quelli di due musicisti di cui abbiamo l’intera produzione: Pier Adolfo Tirindelli (morto a Roma nel 1937) e Carlo Jachino (morto a Napoli nel 1971), che ha anche donato molte registrazioni di proprie composizioni e una fornitissima biblioteca musicale.
 
Una curiosità
Si è già accennato all’acquisto del Ministero della Pubblica Istruzione che nel 1899 ha fatto pervenire alla Biblioteca alcune composizioni autografe di Pietro Raimondi, compositore romano vissuto fra il 1786 e il 1853. Una di queste — forse la partitura più grande del mondo, misurando cm. 108 x 80 — corrisponde a tre oratori eseguibili sia singolarmente che contemporaneamente, come fu fatto a Roma nel 1852 coinvolgendo tre orchestre, tre gruppi di solisti e tre cori per un totale di 400 esecutori (la nostra Biblioteca conserva tutte le parti d’orchestra della ciclopica composizione). In realtà Raimondi aveva il pallino della composizioni “multiple”. Tra le partiture da noi possedute, ci sono fughe che si possono eseguire in simultanea (una è da Guinness dei primati, comportando 64 voci divise in 16 cori di quattro voci ciascuno), una partitura orchestrale intitolata Due sinfonie in una, e persino due opere teatrali da eseguire insieme: I quattro rusteghi e Adelasia, una comica e l’altra seria. Questa megapartitura è però rimasta incompiuta nella parte strumentale.
 
Le edizioni a stampa
Tra gli otto incunaboli posseduti dalla Biblioteca, vanno particolarmente segnalati due trattati teorici: De musica libri quinque di Severino Boezio, nell’edizione a stampa compresa negli opera omnia boeziani pubblicati a Venezia nel 1491-1492; e un’edizione di poco successiva della Pratica musice di Franchino Gaffurio, i cui numerosi esempi costituiscono le prime incisioni musicali con tecnica xilografica.
 
Le edizioni antiche 
Passando alle edizioni più prettamente musicali, è importante sapere che le 312 cinquecentine della Biblioteca — che comprendono opere di Josquin, Palestrina, Rore, de Monte, Animuccia, Ancina e altri — esemplificano tutte le tecniche usate dagli stampatori musicali del tempo: caratteri mobili, xilografia, lastre incise ad intaglio. La tecnica xilografica di Ottaviano Petrucci è rappresentata dal Liber tertius delle messe di Josquin, uscito dal suo laboratorio di Fossombrone nel 1514; quella del suo imitatore e rivale Andrea Antico da un Liber Quindecim Missarum in folio grande stampato nel 1516. Le successive generazioni di stampatori sono ben illustrate da volumi prodotti da due grandi famiglie che dominarono il mercato musicale fra Cinque e Seicento: gli Scotto e i Gardano. Ma anche gli stampatori romani fanno la loro figura con alcune prime edizioni palestriniane curate dallo stesso compositore, come il Liber primus delle messe a quattro voci, dedicato a papa Giulio II. Quanto alle edizioni oltremontane, abbiamo messe di Claude Goudimel (1558) e di Orlando di Lasso (1578) stampate dagli «imprimeurs et libraires du Roy en musique», i cugini Le Roy e Ballard, nonchè una rara edizione dei Songs of sundrie natures di William Byrd (1589).
 
La scuola romana del melodramma
Procedendo in ordine cronologico, troviamo innanzi tutto un’abbondantissima documentazione della scuola romana del melodramma (alcune partiture recano grandi incisioni con gli scenari dell’opera corrispondente): dalla Rappresentazione di anima et di corpo di Emilio de’ Cavalieri all’Eumelio di Agazzari, dal Carro di fedeltà d’amore di Quagliati alla Catena d’Adone di Domenico Mazzocchi, dal Sant’Alessio di Stefano Landi alla Diana schernita di Giacinto Cornacchioli, dall’Erminia sul Giordano di Michelangelo Rossi all’Aretusa di Filippo Vitali, dalla Galatea di Loreto Vittori alla Vita humana di Marco Marazzoli.
 
La musica strumentale del Seicento
Nel campo della musica strumentale seicentesca non mancano rarissimi esemplari (e talvolta degli unica) di intavolature per organo, cembalo, liuto o chitarra, a partire dall’ultima edizione dei due libri di Toccate di Frescobaldi (1637). Largamente rappresentato è pure il coevo settore teorico, con trattati di Artusi, Cerreto, Agazzari, Pisa, De Cans, Gumpelzhaimer, Colonna, Kepler, Mersenne, Doni, Cartesio, Kircher, Giovanni Maria Bononcini ed altri.
 
Il Settecento
Benché la progressiva crisi dell’editoria musicale nell’Italia del XVIII secolo, a una rarefazione delle edizioni e a un ritorno al manoscritto come principale strumento di diffusione della musica, la nostra Biblioteca risulta “coperta” anche in questo settore, specialmente grazie ai volumi del fondo Mario, grande tenore e bibliofilo appassionato.